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Giorgio Melzi maestro d'Arte in Milano Una volta il mio linguaggio pittorico era figurativo. Gli studi, l'insegnamento impostato dal mio maestro, Gino Moro, uomo e pittore di grandi meriti artistici e morali, mi guidavano all'espressione figurativa. Eppure, anche allora, la mia figurazione era apparente e non sostanziale. Era verosimile ma non vera. Era, come è sempre stata la pittura, solo e soltanto un pretesto di fare pittura. Certo, non è una novità. Io dipingevo figurativo ma dialogavo solo con il concetto di pittura. Fosse albero, fiore, città o paesaggio, quanto realmente a me interessava era solo ed esclusivamente il fatto pittorico. Non c'è, almeno nel mio concetto, una troppo elevata componente razionale, la razionalità, se eccessiva, limiterebbe la spontaneità del linguaggio e ridurrebbe ad esempio, a calcolo, a programmazione, ciò che deve essere espressione naturale.
Dipingevo una rosa: ma era solo una metafora. La stessa rosa poteva essere sopravvivenza o suicidio, vittoria o sconfitta; incantesimo o ricordo. La città che dipingevo io, non era una città: era il labirinto delle convenzioni, l'edificio delle strutture sociali, il baluardo delle formule di convivenza: insomma, la prigione della libertà. Ho cercato, nei miei sentimenti e nei miei quadri, il lato umano e fondamentale, la realtà basilare, la verità semplice dell'esistenza; e tutto ciò che è nel percorso, alla fine vale poco. Allora è la semplicità quella che conta: la natura e la naturalezza. E per me tutto questo si chiama sentimento.
Ecco quello che ho sempre dipinto. Io dipingo il sentimento nascosto e il sentimento che esplode. Accartoccio come si fa con le vecchie cose, e poi distendo, nuovamente, per rileggere, per riportare alla luce. Ecco perché sui miei "cartocci" campeggiano segni neri, quasi tracciati da una spada oppure superfici luminose, un sole o una luna, o un orizzonte aperto. Il sentimento si è accartocciato nel segno del tempo; un segno composto da rughe, da ferite, da invecchiamento; e da tagli profondi, traccia incisa o violenta che penetra nella materia e nell'animo. Ma quando il sentimento ritorna alla luce e la matassa del cartoccio si apre a nuova vita, ecco nuovi orizzonti, di sole, di spazio, di incandescenza. C'è anche un sentimento di interpretazione del tempo e della contemporaneità. Ma c'è soprattutto il sentimento che ognuno degli osservatori vorrà riscontrare e riconoscere. Un suggerimento, un dialogo, un motivo di incontro.
E quando qualcuno scopre un motivo, un sentimento o un'idea differente da quanto sentivo io, ne sono particolarmente felice, perché insieme abbiamo creato uno spazio nuovo: da leggere e da costruire | |
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